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Stretching e patologie croniche

Stretching: definizione e tipologie

Con il termine “stretching” si intende quella tipologia di esercizio fisico con l’obiettivo di migliorare la flessibilità della muscolatura e la mobilità di un’articolazione. E’ un movimento determinato dall’applicazione di una forza interna o esterna, volta al raggiungimento e mantenimento di una specifica posizione per un dato periodo di tempo. Lo stretching può essere di diversi tipi:

  • Statico: consiste nel raggiungere lentamente una posizione che permetta l’allungamento di un determinato muscolo o gruppo muscolare. E’ il più semplice e maggiormente utilizzato.
  • Balistico: consiste nel portare la muscolatura ad allungamento attraverso movimenti rapidi e ritmici, utilizzando la velocità per determinare l’allungamento. E’ una tipologia di stretching in disuso, considerato pericoloso per l’altro rischio di incorrere in strappi e stiramenti muscolari.
  • Dinamico: è un’adattamento dello stretching balistico, dove i movimenti sono controllati senza slanci e scatti.
  • Passivo: chiamato anche stretching rilassato, si attua con l’aiuto di un operatore esterno o di qualche attrezzo. E’ tipico della fase di riabilitazione dopo un infortunio o operazione.
  • Attivo: è uno stretching che sollecita i muscoli senza l’utilizzo di una forza esterna. E’ determinato dal rilassamento della muscolatura antagonista a quella attiva.
  • Globale attivo: si basa su posizioni in grado di allungare determinate catene muscolari.
  • Propriocettivo: si basa sui complessi meccanismi delle unità coinvolte nello stiramento (muscoli, tendini, recettori, coppia agonista/antagonista).

Tra i benefici che più di tutti sono stati riconosciuti allo stretching si possono citare il miglioramento della performance motoria e la prevenzione degli infortuni. Data l’importanza che riveste nel panorama dell’attività motoria e sportiva, la letteratura scientifica ha approfondito moltissimo l’argomento andando a ricercare tutti i possibili benefici e le attenzioni da tenere in considerazione durante gli esercizi di stretching.

Stretching nei soggetti con patologie croniche

Diverse intensità di allungamento, determinano diverse risposte muscolari; nel dettaglio, basse intensità di allungamento non portano a modificazioni del ROM articolare, mentre intensità troppo elevate potrebbero portare a rotture muscolari con conseguente infiammazione. La posizione, invece, può andare ad influire sulle fasce muscolari allungate, così come sull’intensità di allungamento. Nei soggetti con patologia cronica, molto spesso l’inattività porta a delle rigidità muscolari e limitazioni nel ROM articolare, con conseguente influenza negativa a livello delle attività della vita quotidiana e affezioni dolorose.
Una review del 2015 si è focalizzata su intensità e posizione di allungamento, per valutare gli effetti dello stretching in termine in ROM, DOMS e infiammazione, includendo anche studi su soggetti con patologia cronica quale cervicalgia, BPCO, cancro e generici problemi osteoarticolari. I risultati, che sono stati riportati in questa revisione, si son però mostrati abbastanza discordanti fra di loro. I due studi di maggior qualità (punteggio maggiore nel quality control) hanno riportato benefici diametralmente opposti: il primo, uno studio di Maluf del 2010 che sottoponeva al suo campione uno stretching di tipo discomfort, ha descritto dei miglioramenti nella sensazione di dolore legata ad un danno del sistema nervoso. Differentemente, in un secondo studio, effettuato da Horsley nel 2007, e che utilizzava la tecnica MSNP (massimo allungamento senza provare dolore) su pazienti post-infartuati, non ha riportato alcun beneficio. In altri due papers, inoltre, è stata utilizzata la rieducazione posturale globale con lo scopo di allungare contemporaneamente la catena muscolare anteriore o quella posteriore. Anche in questo caso i risultati erano in contraddizione tra di loro con uno dei due studi addirittura evidenziava un aumento della sensazione di dolore. L’unica tipologia che trova risultati più omogenei riguarda lo stretching svolto grazie all’assistenza di un terapista o tramite l’utilizzo di macchinari dedicati. In questo caso, i benefici si sono evidenziati in tutti gli studi citati e gli autori ne motivano i risultati grazie al fatto che con questa modalità guidata, ci sia un aumento della stabilità ed in tal senso, probabilmente i pazienti riescano a rilassarsi maggiormente e quindi detendere le strutture.

Le forti contraddizioni negli outcome degli studi focalizzati su soggetti con patologie croniche, mettono in luce la confusione riguardante il tipo di stretching e l’intensità ideale in questo cluster di popolazione e la conseguente necessità di approfondire l’argomento con studi di maggior qualità. Spesso infatti, gli studi mostrano carenze procedurali in alcuni aspetti importanti come una chiara descrizione metodologica e una raccolta dati attraverso misure standardizzate. La letteratura non produce linee guida patologia-specifiche per lo stretching nella popolazione con patologie croniche, il suggerimento rimane quello di avvalersi di prescrizioni di esercizio dettagliate ed avvalersi di professionisti specializzati con esperienza pregressa degna di nota.

  • Apostolopoulos N. et al.. The Relevance of Stretch Intensity and Position: A Systematic Review